LA STORIA DI LEO
Mauro R.
nel ruolo di Leo
Lo spot di sensibilizzazione sulle immunodeficienze primitive racconta in breve la mia storia di paziente: la scoperta della malattia da adulto, la diagnosi e il trattamento che ha migliorato la mia qualità di vita, offrendomi la possibilità di avere molto più tempo libero, per me, per il lavoro, per vivere come voglio…
Ora faccio una vita normale, come prima, ma con meno rischi e meno stanchezza. Faccio cinema, vivo a Roma e sto bene.
Mi sento bene. Sono stanco solo quando mi stanco.
Leo, Direttore della fotografia
Fino a 27 anni sono stato ricoverato in ospedale a intervalli regolari di 5/6 anni, sin da quando ero solo un bambino e non mi rendevo bene conto di quello che stesse succedendo. Ricordo vagamente i pianti in ospedale, ma niente di più. A 12 anni iniziavo a capire che qualcosa non andava, ma ancora ero in una fase di tranquillità psicologica.
Con l’adolescenza, a 16 anni e l’ennesimo ricovero in ospedale, ero tutto concentrato su me stesso, come è normale a quell’età, pensavo a divertirmi con gli amici e alle mille altre cose ‘da adolescente’ che mi passavano per la testa… Volevo solo scappare da quella che mi sembrava una prigione. Non mi rendevo conto del percorso che pian piano si delineava.
Ho cominciato a fare l’operatore televisivo e sono sempre andato avanti per la mia strada nonostante la stanchezza e la debolezza. Finché, a 27 anni, mi è stata diagnosticata una broncopolmonite ed è ricominciato l’iter ospedaliero. Da lì i medici hanno fatto chiarezza sul problema ed è arrivata finalmente la diagnosi di Immunodeficienza Primitiva.
A questo punto della mia vita, però, mi rendevo conto eccome di quello che accadeva, e il mio pensiero era sempre per i bambini, i ragazzi, giovani e forse ignari, come lo ero io all’inizio di questo percorso. Ragazzi in cui rivedevo me stesso. Ragazzi che avrei voluto aiutare.
E poi che è successo? Niente di straordinario. Faccio una vita normale, come prima, ma con meno rischi e meno stanchezza. Faccio cinema, vivo a Roma e sto bene. Mi sento bene. Sono stanco solo quando mi stanco.
Alessandro, Direttore di banca
Ma facciamo un passo indietro: io ero un giovane pieno di speranze e di aspettative, un calciatore, sebbene il mio organismo mi desse dei segnali di sofferenza allarmanti. Nonostante ciò, la mia carriera non fu interrotta dalla malattia, bensì da un incidente d’auto.
Analisi dopo analisi, controllo dopo controllo, continuo a fare la mia vita, ma so bene che qualcosa non va. Fil rouge di oltre dieci anni di analisi e ospedali è la presenza costante di un valore piuttosto basso delle immunoglobuline, che però non era stato immediatamente ricollegato alla patologia.
12 anni dopo aver iniziato il lungo iter verso la diagnosi, ormai quarantenne, mi ammalo di una broncopolmonite fortissima che mi debilita fortemente per circa 2 mesi. Nel giro di tre anni sono di nuovo costretto a letto, anche questa volta da una pesante broncopolmonite.
Al momento le prospettive sono delle più nere: sono destabilizzato dal non sapere quale male mi sta debilitando, le mie certezze si sfaldano giorno dopo giorno, minate dalla peggiore delle ipotesi. Una malattia incurabile.
È in questo periodo che si comincia a fare chiarezza e i medici che mi seguono arrivano a una diagnosi certa di immunodeficienza primitiva.
Da allora la mia vita è cambiata completamente: ho ripreso a vivere pienamente, passando da uno stato di incertezza, insicurezza e instabilità emotiva, ancor prima che fisica, a una situazione di serenità.
Con la diagnosi, infatti, arriva anche il trattamento adeguato e posso riprendere in mano le redini della mia vita, finalmente conscio della malattia che ora so di poter affrontare.
Da quando mi hanno diagnosticato la patologia e sono in cura la mia vita è completamente cambiata. In meglio. È una vita normale, certo, che per me però ha acquistato un valore inestimabile. Vorrei che fosse lo stesso per tutti; il ritardo diagnostico può compromettere per sempre la vita dei pazienti ed essere devastante. A volte è davvero troppo tardi. Dobbiamo lavorare insieme per eliminare il fenomeno della sottodiagnosi.
Alessandro è impegnato nell’associazione dei pazienti per contribuire a migliorare la vita di altri pazienti.
Alessandro, Direttore di banca
Andrea, Imprenditore
A questa sono seguite tante altre infezioni, anche molto gravi. Ho praticamente saltato l’adolescenza, tra interventi chirurgici e trasfusioni, passando buona parte del mio tempo in ospedale, infezione dopo infezione.
A un certo punto, fortunatamente, tutto è cambiato. La mia vita è migliorata considerevolmente, grazie al miglioramento delle terapie e, probabilmente, alla stabilizzazione del mio fisico. Ora ho raggiunto un buon equilibrio e facendo le terapie di profilassi, i controlli periodici e le eventuali cure in modo tempestivo riesco ad avere una buona qualità della vita.
Certo, non abbasso mai la guardia, tenendo sempre presente che l’immunodeficienza, anche quando sto bene, non mi ha abbandonato.Fa parte di me, della mia vita, forse anche per questo oggi sono ciò che sono.
Penso che affrontando tante difficoltà si venga messi alla prova, ma quando queste si superano si esce temprati, più forti di prima.
Ora non sono solo vivo meglio, ma sono anche in grado di aiutare altri che stanno passando ciò che io ho già passato. Aiutare chi deve riuscire a superare con successo, come ho fatto io, i momenti di difficoltà cui la malattia ti mette di fronte.
Andrea è impegnato nell’associazione dei pazienti per contribuire a migliorare la vita di altri pazienti.
Andrea, Imprenditore
HAI SENTITO SUONARE DUE DI QUESTI
DIECI CAMPANELLI D’ALLARME?
Molte di queste condizioni sono comuni ad altre patologie.
Chiedi al tuo medico: solo lui può decidere quali esami prescriverti per una diagnosi esatta.
SAI COSA SONO
LE IMMUNODEFICIENZE PRIMITIVE?
Le immunodeficienze primitive sono un gruppo di circa 300 malattie rare in cui il sistema immunitario presenta dei difetti funzionali o quantitativi, con una mancata o insufficiente produzione di anticorpi o altri elementi cellulari o proteici che intervengono nei meccanismi di controllo delle infezioni. Sono proprio quest’ultime infatti il principale sintomo di queste patologie.
QUANTE PERSONE NE SOFFRONO?
A livello globale, si stima che circa 6 milioni di persone siano affette da una forma di immunodeficienza primitiva: circa un individuo su 1.200 vive con una delle 300 forme di immunodeficienza primitiva.
Le manifestazioni principali delle immunodeficienze primitive sono legate ad infezioni ricorrenti acute e croniche, principalmente a livello del tratto respiratorio e del tratto gastrointestinale, nei due apparati quindi inevitabilmente più esposti all’ambiente esterno ed ai microorganismi.
COME FUNZIONA
LA DIAGNOSI?
Dal 1952, “storico” anno in cui fu descritta la prima immunodeficienza, i progressi terapeutici hanno largamente modificato le prospettive di sopravvivenza per molte malattie. Tuttavia, ancor oggi numerose forme di immunodeficienza sono diagnosticate tardivamente, quando ormai si sono instaurati danni anatomici gravi o irreversibili, in grado di compromettere i risultati anche delle più avanzate terapie. Si presume che circa dal 70 al 90 per cento degli individui affetti da una immunodeficienza primitiva, pur vivendo in Paesi con sistemi sanitari evoluti, non riceve una diagnosi corretta in tempi accettabili. Con inevitabili conseguenze per il paziente.
Proprio per evitare l’instaurarsi di queste complicanze è fondamentale la tempestività della diagnosi, che finisce con l’essere la variabile più rilevante in grado di influenzare la prognosi e le aspettative di vita. Con una diagnosi corretta è possibile ottenere un trattamento adeguato e, di conseguenza, una miglior qualità di vita.
AIP Onlus (Associazione Immunodeficienze Primitive) è stata fondata da un gruppo di pazienti, di familiari e di medici interessati alla diffusione dell’informazione e alla promozione della ricerca nel campo delle immunodeficienze primitive.
Se nel campo delle immunodeficienze primitive progressi notevoli sono stati fatti dal punto di vista clinico e terapeutico, sul versante sociale e informativo resta ancora molto da fare e in questo ambito l’AIP indirizza i propri sforzi.
Tra gli obiettivi dell’Associazione, infatti, quello di arginare il fenomeno della sottodiagnosi o diagnosi tardiva.
LE VOSTRE STORIE
La ricerca è andata avanti moltissimo, ma grazie ad internet, ai social e a questa importantissima iniziativa sono certa che se ci fosse stata ancora mia madre sarebbe stata felicissima, perché finalmente avrebbe avuto la possibilità di confrontarsi, in modo semplice, con molte altre persone nella sua condizione.La storia di Ramona
La testimonianza che porto non è direttamente mia, ma l’ho vissuta come fossi in prima persona… ad essere affetta da ipogammaglobulineamia comune variabile, non dovuta da retrovirus era mia madre. Ricordo che non poteva quasi mai accompagnarmi a scuola causa ricorrenti polmoniti e infezioni. La diagnosi non è arrivata subito ma poi una volta a settimana inizialmente, per un’intera mattinata, era impegnata per le terapie di infusione.Tutto questo accadeva 20 anni fa. La sofferenza per la malattia e lo stile di vita era tanta ma la cosa che la faceva soffrire di più e che le causò una depressione importante era il sentirsi emarginata, non capita, contagiosa, poco informata e molto sola.La ricerca è andata avanti moltissimo ma grazie ad internet, ai social e a questa importantissima iniziativa pubblicitaria sono certa che se ci fosse stata ancora mia madre sarebbe stata felicissima, perché finalmente avrebbe avuto la possibilità di confrontarsi, in modo semplice, con molte altre persone nella sua condizione. Condividendo notizie sulla ricerca e nuovi metodi di cura, sarebbe stato più facile capire che poteva vivere e godersi la vita anche con l’immunodeficienza e capire cosa fosse e non averne più paura. Purtroppo 10 anni fa ci ha lasciati ma io continuo per quanto possibile a seguire, informarmi e sperare nella ricerca… per lei e per tutte le persone che, colpite da questa malattia genetica si sentono sole… non è così! Perché se la medicina e la ricerca sono fondamentali, il sostegno psicologico va di pari passo…
Grazie ancora ad AIP
Sono descritta da tutti come una persona solare e forte e per questo oltre alla mia meravigliosa famiglia e alle meravigliose persone che mi hanno sempre curato e fatto stare bene magari devo dire grazie anche proprio alla malattia che mi ha fatto diventare la persona che sono oggi.La storia di Michela
Inizio a 13 mesi con una pertosse che mi fa finire sotto la tenda di ossigeno, a 4 anni il primo intervento a Merate, al polmone sinistro, risoltasi senza troppe complicazioni in breve tempo e poi la catastrofe: a 10 anni una ricaduta pesantissima. Una polmonite non diagnosticata, del tutto asintomatica, che fa venire addirittura il sospetto ai medici che fossi malata di cuore. Sono stata nuovamente operata, stavolta a Milano, e continua il calvario: dopo 6 mesi in ospedale la mattina che devo finalmente andare a casa mi fanno le lastre e…nuova operazione al polmone destro.
Dopo ben un anno consecutivo di ricovero finalmente posso tornare a casa!!!! Dopo un anno l’incontro con le dottoresse che finalmente individuano il problema e che, inutile dirlo sono diventate la mia seconda famiglia. Sindrome da Iper Ige e con le cure è arrivato anche il sollievo di sapere finalmente che la tua malattia ha un nome e anche una cura.Dopo circa 35 anni di cure, esami e profilassi non ho mai rinunciato a vivere, ho fatto tutto quello che volevo: sono andata in vacanza, a ballare, a divertirmi come una qualsiasi persona sana, ti devi controllare prendere i farmaci e non mollare.
Sono descritta da tutti come una persona solare e forte e per questo oltre alla mia meravigliosa famiglia e alle meravigliose persone che mi hanno sempre curato e fatto stare bene magari devo dire grazie anche proprio alla malattia che mi ha fatto diventare la persona che sono oggi e di cui, scusate la modestia, sono orgogliosa.
Forza non siamo soli! E questo è prezioso quasi quanto le cure.
Non abbattersi e affrontare con fiducia la malattia:
la medicina ha fatto progressi enormi in questi anni e si può vivere bene, anzi benissimo seguendo i consigli dei medici.La storia di Riccardo
Ciao a tutti.
Ho deciso di raccontare brevemente la mia storia di immunodeficienza primitiva che mi è stata diagnosticata tantissimi anni fa.
Abito nelle vicinanze di Padova, ho 64 anni e sono in pensione da pochi mesi, nonostante la famosa Legge Fornero mi abbia costretto a lavorare oltre 43 anni, tra scuola, servizio di leva ed anni di Università.
Sono sposato dal 1991 ed ho moglie e 2 figli di 24 e di 18 anni.
Era il mese di luglio del 1994 e mi trovavo a Gorizia per svolgere il ruolo di commissario d’esame in un Liceo del posto.
Da qualche giorno avevo una tosse fastidiosa, ma niente di più.
Improvvisamente sale la febbre e, non avendo la possibilità di rivolgermi al medico di base, vado al pronto soccorso dell’ospedale goriziano, dove mi diagnosticano un focolaio di broncopolmonite.
Rientro a Padova e dopo i primi giorni di cura antibiotica la febbre sparisce e sembra tutto risolto.
In realtà i mesi successivi furono piuttosto sofferti, con bronchiti ricorrenti ed altri cicli di antibiotici.
Nel 1995 mi rivolgo all’ospedale di Dolo dove, nonostante una prima diagnosi di ipogammaglobulinemia, forse per mia pigrizia, non seguo alcuna terapia.
Trascorro un paio d’anni discreti, quando nel 1997 a seguito di una nuova broncopolmonite vengo ricoverato e curato all’ospedale di Padova.Ero semplicemente terrorizzato dal fatto di non sapere cosa avessi; pensavo a tutte le più brutte malattie, ma la cosa peggiore era quella di non sapere da cosa fossi affetto. Neanche il mio medico di base ne capiva qualcosa: non aveva mai avuto un paziente “raro” come me.
Mi viene consigliata dagli pneumologi una visita ematologica per la quale mi rivolgo ad un gruppo di medici specialisti.
Dopo ulteriori accertamenti si decide di cominciare una terapia a base di immunoglobuline in vena.
Per circa 12 anni continuo la cura recandomi ogni mese in ospedale.
La mia vita cambia decisamente in meglio. Sono ormai passati quasi 20 anni dall’inizio delle infusioni e devo dire che non ho più avuto grandi problemi né di tipo relazionale, né di tipo lavorativo.In poche parole, ho condotto una vita assolutamente normale sia in famiglia che al lavoro.
Circa 6 anni fa ho cambiato tipo di terapia, non più in vena, ma sottocutanea.
Ogni settimana perdo circa un’ora di tempo per l’infusione, che faccio comodamente a casa negli orari che preferisco.
Quando vado in vacanza è sufficiente portare con me una piccola borsetta frigo per mantenere il farmaco in condizioni ottimali.
In tutti questi anni vado al controllo ematologico un paio di volte all’anno ed ogni tanto faccio qualche accertamento diagnostico, esami del sangue, gastroscopia, ecografia addome, eccetera.
Sono tutti esami necessari per tenere sotto controllo eventuali complicazioni della malattia. Come forse sapete, i malati di icdv sono più a rischio degli altri per quanto riguarda le malattie autoimmuni e quelle proliferative, dunque bisogna sempre essere vigili su tutti i campi.Per concludere vorrei solo dire a tutti coloro cui viene diagnosticata una immunodeficienza comune variabile di non abbattersi e di affrontare con fiducia la malattia.
La medicina ha fatto progressi enormi in questi anni e si può vivere bene, anzi benissimo seguendo i consigli dei medici.
Un grazie di cuore a tutto il personale medico che mi ha seguito ed agli amici di A.I.P. che hanno cambiato in meglio la mia vita sotto tutti i punti di vista.
Il 23 novembre 1995 il mio guerriero riceve il midollo. Certo è dura, ma tutto va bene grazie ad un ragazzo inglese che nel 1995 aveva solamente 21 anni.
Oggi va tutto bene.La storia di Cinzia
Sono Cinzia, mamma di Giorgio e Riccardo
Giorgio nasce nel 1991 e pesa 1.950kg per 43cm, già qualcosa non va ma nessuno capisce niente. Quando vengo dimessa dalla clinica il peso di Giorgio è 1750kg. Ed ecco che incominciano i problemi: a 13 giorni viene ricoverato con un bronchiolite, 40 giorni di ricovero. Viene dimesso in condizioni sufficienti e nei 7 giorni successivi incomincia una diarrea intrattabile. Un nuovo ricovero ancora una volta senza una vera diagnosi ma in condizioni gravissime.
Trascorrono due mesi ma Giorgio non migliora. Con insistenza chiediamo un trasferimento presso un noto centro specialistico di Napoli e ci viene concesso. Finalmente dopo alcuni giorni arriva la diagnosi: immunodeficienza grave.
Iniziano una nuova terapia e piano piano Giorgio si riprende e incomincia a prendere peso. La diagnosi ci viene confermata dopo un trasferimento a Brescia. Di ritorno a Napoli incominciamo una cura di immunoglobuline ogni 21 giorni. La situazione sembrava stabilizzarsi ma dopo due anni si manifesta una febbre alta che ci costringe ad un nuovo ricovero. Questa volta i medici ci dicono che non ce la farà, ma mio marito riesce a convincere i dottori e otteniamo un trasferimento a Parigi.Arriviamo a Parigi il 25 marzo 1993, con un aereo militare, sempre con febbre altissima. I dottori sospendono tutti i farmaci che prendeva. sono obbligata a lasciare Giorgio in ospedale perché le mamme la sera devono andare via. Al mio ritorno, la mattina successiva, Giorgio aveva assunto un colorito giallo. I medici mi informano che aveva la transaminasi a duemila ed era necessario un intervento, sicuramente si trattava di epatite ma non sapevamo ancora di che tipo. Alle 22 una dottoressa mi comunica che Giorgio ha un’epatite autoimmune: i suoi anticorpi stanno rovinando il fegato ma fortunatamente c’è una terapia. Viene messo sotto ciclosporina che lentamente porta dei miglioramenti.
Nel frattempo scopro di essere incinta. Decido di portare avanti la gravidanza anche se la paura è tanta. Mi dicono che non esistono esami genetici che possano aiutarci a capire i rischi di un caso come quello di Giorgio.
Rientriamo a Napoli e Giorgio sta meglio, continua la terapia e i controlli costanti, con visite a Parigi ogni due mesi.Il 18 novembre nasce Riccardo, sano e con peso nella norma. Fino ai 4 mesi sembrano non esserci particolari problemi, anzi va tutto benissimo. Poi arriva il momento dei vaccini ma i medici di Parigi mi suggeriscono di fare dei prelievi. Ed è lì che arriva la diagnosi: Riccardo è affetto dalla stessa immunodeficienza del fratello. Passa un mese e Riccardo comincia a manifestare febbre e linfonodi ingrossati. La situazione è gravissima. Partiamo tutti e quattro per Parigi dove Riccardo viene ricoverato con urgenza; deve essere sottoposto a trapianto del midollo. Durante la preparazione per l’operazione, Riccardo viene colpito dal citomegalovirus che provoca danni a livello neurologico. Purtroppo, il 27 Luglio, Riccardo ci ha lasciati. Dopo quello accaduto a Riccardo, i dottori a Parigi chiamano me e mio marito e ci dicono che è necessario un trapianto per Giorgio.
Il 29 settembre 1995 riceviamo un’importante chiamata: a Parigi hanno trovato un donatore non consanguineo ma compatibile al cento per cento. Ovviamente decidiamo di partire. Il 27 novembre Giorgio, entra nella famosa bolla: inizia la chemioterapia. Il 23 novembre 1995 il mio guerriero riceve il midollo. Certo è dura, ma tutto va bene grazie ad un ragazzo inglese che nel 1995 aveva solamente 21 anni. Oggi va tutto bene. Giorgio ha 25 anni, non ama raccontare tutto questo. È guarito, ma non del tutto; adesso è affetto da un’immunodeficienza comune variabile (CVID) il cui trattamento si basa sulla terapia sostitutiva con immunoglobuline somministrate per via sottocutanea ogni sette giorni. Per non dimenticare poi il problema della statura particolarmente bassa (purtroppo a volte la società non è tanto clemente!). Ma sta bene. Viene seguito a Napoli da un bravo medico.
Un saluto a tutti
Non cambierei per nulla al mondo il mio medico, sempre disponibile ad ascoltarmi,
a rispondere ai miei dubbi e che mi ha assistito e incoraggiato a realizzare il mio grande sogno: diventare mamma.La storia di Lucia
Ho iniziato presto a manifestare problemi di salute: già a 15 mesi mi è stata diagnosticata una piastrinopenia; ho ancora fissi nella mente quella sala d’aspetto e quell’ambulatorio che periodicamente frequentavo per i controlli, così come il reparto che ogni tanto mi ospitava per qualche ricovero.I medici non capivano l’origine del mio problema, ho girato ospedali in varie città d’Italia e a Parigi, ma nessuno forniva una diagnosi precisa. All’età di 10 anni i medici hanno deciso di togliermi la milza, perché era troppo ingrossata. La piastrinopenia sembrava risolta, ma sono comparsi altri problemi, continue e lievi febbri, spossatezza.
La vera tegola è arrivata a 16 anni: meningite da pneumococco. Mi hanno preso per i capelli. Non smetterò mai di ringraziare il medico che mi ha salvata e che ha passato notti insonni per cercare di capire la causa di questa meningite; lui insieme ai medici che mi seguivano in precedenza per la piastrinopenia, sono finalmente arrivati ad una diagnosi: immunodeficienza comune variabile. Dopo essermi ripresa dalla meningite e dalla conseguente osteomielite, ho iniziato le infusioni in vena di immunoglobuline e ho cominciato a trovarne giovamento dopo circa due anni.
Crescendo ho preso coscienza della mia malattia, cercavo invano risposte alle mie domande sulla mia vita presente e futura (matrimonio, famiglia) e psicologicamente ne soffrivo molto. Ho deciso allora di rivolgermi ad un centro specializzato in immunodeficienze primitive. Il primario mi ha affidata ad un medico, che ora è il mio medico, il quale ha saputo finalmente dare tutte le risposte ai miei quesiti e che, proponendomi le immunoglobuline sottocute, mi ha liberato da quella che sentivo come una schiavitù, ossia recarmi periodicamente in ospedale. Non cambierei per nulla al mondo il mio medico, che è sempre disponibile a rispondere ai miei dubbi, a tranquillizzarmi e ad ascoltare con pazienza le mie paranoie e che mi ha assistito e incoraggiato a realizzare il mio grande sogno: diventare mamma.
E ora, alla domenica, quando arriva il momento delle immunoglobine sottocute, la mia piccola infermiera di 2 anni si preoccupa sempre di recuperarmi dal cestone delle medicine il cotone, l’alcool e il cerotto e con un grande sorriso me li porta e mi guarda mentre inizio la terapia.
Faccio una vita abbastanza frenetica, lavoro fuori casa, al rientro comincia il mio secondo lavoro di mamma. La sera sono spesso stanca, il raffreddore e la tosse mi accompagnano quasi sempre, ma la terapia sottocute, oltre che essere comoda, mi consente di vivere una vita normale, quella che ho sempre cercato.
Io sono stata fortunata: sono qui a raccontarvi la mia storia e per questo devo ringraziare tutti i miei angeli custodi: medici, infermieri, OSS e tecnici di laboratorio che ho incontrato sulla mia strada (e che hanno sopportato e ancora sopportano i miei genitori 😀 )La storia di Annalisa
Ciao!Mi chiamo Annalisa, ho sei anni, a maggio ho fatto il mio primo saggio di danza ed a settembre andrò in prima elementare. Alla stessa scuola dove va il mio fratellone Emanuele. Ricordatevi il suo nome perché assumerà un ruolo mooooolto importante nella mia storia.
Ma facciamo un passo indietro…
Fino ai sei mesi stavo benissimo, ero una bambina sana e tonda grazie al latte della mia mamma. Ma quando ho iniziato ad andare all’asilo nido sono iniziati i guai! Mi ammalavo continuamente e guarivo troppo lentamente e solo con l’aiuto degli antibiotici. A 13 mesi ho dovuto smettere di andare al nido, perché le infezioni respiratorie non mi davano tregua. Poi ho iniziato a stare sempre peggio, fino a che un giorno i miei genitori hanno deciso di sottopormi a un controllo più approfondito.
E benedetto fu quel giorno!
Beh! Quei dottori me ne fecero di tutti i colori. Come dite voi grandi: mi rivoltarono come un calzino. Non solo. Entravo e uscivo dall’ospedale per una brutta polmonite. Ormai dormivo con la bombola di ossigeno e il saturimetro accanto al letto.
Sin tanto che non fecero intervenire una Professoressa che finalmente arrivò ad una diagnosi. Non furono buone notizie però: SCID, cioè immunodeficienza severa combinata. Mi mancavano dei “soldatini” che servivano per difendermi dalle malattie. I “direttori d’orchestra” diciamo. Ecco perché mi ammalavo e non riuscivo a guarire. Ecco perché quella brutta polmonite con focolai multipli non mi voleva proprio lasciare e preoccupava tanto questa Professoressa.
“Qui c’è una cosa sola da fare. Se fosse mia figlia non aspetterei.”, disse Chiara (così si chiama la mia cara Prof) ai miei genitori, “Serve il trapianto di midollo ma dobbiamo trovare un donatore compatibile al 100%”, continuò a spiegare. Già… Il problema adesso era trovare un donatore compatibile e per di più al 100%.
Chiara prese un po’ di sangue dai miei genitori e dal mio fratellone per vedere se uno di loro era compatibile con me senza dover andare a cercare nella banca dati mondiale dei donatori di midollo osseo.
I risultati dissero che il mio babbo non serviva a niente, la mia mamma, stranamente per un genitore, era compatibile con me all’80%, ma il mio fratellone… Vi ricordate che vi avevo detto di ricordare il suo nome. Il mio fratellone Emanuele era compatibile con me al 100%!!!!!!!!!!!
E allora…Via col trapianto!
A Mè (così chiamavo il fratellone perché all’epoca non mi riusciva ancora di pronunciare il suo nome per intero) venne spiegato che servivano un po’ dei suoi soldatini per far guarire la sorellina, che così sarebbe potuta tornare a casa insieme alla mamma. Mè, che non aveva ancora 5 anni, mi fece questo grande regalo. I dottori dissero che ne donò veramente tanti, talmente tanti che dopo una sola settimana da quando me li infusero (di solito ci vogliono circa 15/20 giorni), fecero la loro prima apparizione e di giorno in giorno aumentavano sempre più.
La prima cosa che andarono a guarire fu proprio l’infezione polmonare che non mi voleva abbandonare. Mi servì un casco speciale con l’ossigeno (la CPAP) e furono 15 giorni da cardiopalma, poi lentamente la crisi rientrò e tutto tornò alla normalità. Intanto una era sistemata!!!
Ma non finisce qui!!!
Ci vollero in tutto ben sette mesi di camera sterile perché nel frattempo venne fuori una complicazioncina, non tanto “ina” a dir la verità. I soldatini di Emanuele non riconobbero parte del mio intestino e gli fecero la guerra. In gergo, mi ha spiegato babbo (e a lui lo hanno spiegato i dottori) si chiama GVHD: Graft Versus Host Disease.
Vomitavo e avevo mal di pancia, non potevo più mangiare niente. E una brutta diarrea non mi dava tregua. Ero uno scricciolo di due anni, ma non mollavo.
Imbottita di medicine, tutta gonfia e piena di tubicini non potevo muovermi, ma appena stavo meglio giocavo con la mia mamma, con le infermiere e con le dottoresse del reparto. Poi, finalmente, piano piano, ho iniziato a migliorare. Piccoli passi verso la guarigione, fino a che, un bel giorno, non mi hanno detto che potevo tornare a casa! E chi se lo ricordava più di avere una casa? Non è stato facile: i primi mesi dovevo prendere un sacco di medicine e fare tanti esami, non potevo frequentare altri bambini né entrare in luoghi affollati, ho dovuto passare di nuovo qualche settimana in ospedale a causa di infezioni.Ma ora… guardatemi un po’?
Vi sembro forse una bambina malata? Certo, se il mio difetto fosse stato scoperto alla nascita mi sarei risparmiata tanti brutti esami, tanti mesi di ospedale ma soprattutto non avrei rischiato di morire. Per questo è importante lo screening neonatale! Una diagnosi tempestiva può salvare tanti bambini.
Io sono stata fortunata: sono qui a raccontarvi la mia storia e per questo devo ringraziare tutti i miei angeli custodi: medici, infermieri, OSS e tecnici di laboratorio che ho incontrato sulla mia strada (e che hanno sopportato e ancora sopportano i miei genitori :D)
Quello che tengo a sottolineare è di non sottovalutare un esame di laboratorio con valori non nella norma perché la diagnosi di mio marito poteva essere fatta anni e anni prima!La storia di Enrico
Ciao a tutti,
sono la moglie di Enrico, 55 anni, siamo sposati da 27 anni e abbiamo due figli. Ho conosciuto mio marito nel lontano 1981. All’epoca aveva frequenti raffreddori, bronchiti e sinusiti ma niente di così importante. Fino a quando nelle analisi (Enrico era donatore Avis) riscontrarono un valore delle proteine basso. Ci fu quindi un primo campanello di allarme, tuttavia non approfondito. Poi all’età di 45 anni inizia una prima polmonite con diagnosi di sarcoidosi e una seconda a distanza di qualche mese.Passa altro tempo e non accade più nulla, sembra tutto passato; finché all’età di 54 anni arriva una terza polmonite, molto grave, e sempre il campanello di allarme delle proteine basse. Da qua un dosaggio di IGG IGA e IGM dove i valori erano praticamente inesistenti!!! Veniamo spediti in immunologia prima a Modena, dove un medico non aveva mai visto valori simili, poi a Brescia dove viene diagnosticata con un solo esame del sangue un’immunodeficienza comune variabile. Inizia l’iter ogni mese di immunoglobuline in vena presso un ospedale vicino casa.
Oggi mio marito non ha più nemmeno un raffreddore! Quello che tengo a sottolineare è di non sottovalutare un esame di laboratorio con valori non nella norma perché la diagnosi di mio marito poteva essere fatta anni e anni prima! Buona fortuna e buona salute a tutti!
Ah dimenticavo, esiste una piccola percentuale genetica, quindi i miei figli sono già stati controllati per i livelli di IGG!!
In pochi mesi la mia vita è cambiata. Marco ha intrapreso la terapia di gammaglobuline sotto cute e la sua vita è cambiata: frequenta la scuola fa sport e fa la vita da bambino. Oggi ha 9 anni e non ha più contratto infezioni.La storia che vi sto per raccontare è quella di mio figlio Marco., quindi vi racconterò ciò che si prova da mamma. Quando si sono verificate le prime infezioni Marco aveva 2 anni e nessuno sapeva dare risposte a ciò che succedeva al suo corpicino. Tutti mi continuavano a dire che ero una mamma troppo apprensiva e che era normale che i bambini si ammalassero il primo anno di asilo , perché si devono formare gli anticorpi… io però non ero tranquilla; in 3 mesi aveva già preso 4 otiti e 3 tonsilliti.Una mattina porto come sempre mio figlio all’asilo ma vedo un certo pallore, anche se non erano presenti febbre o altri sintomi … nella tarda mattinata le maestre mi chiamano dicendo che Marco ha forti dolori all’addome e che dovevo andare subito … potrete certamente capire il mio stato d’animo in quel momento. Decido di portare subito il bambino al pronto soccorso ma mi dicono che va tutto bene. Io però non sono convinta, così il pomeriggio vado dal medico che ha sempre seguito Marco e lo faccio visitare. Lui rileva un forte indebolimento del bambino e mi dice di ritirarlo dall’asilo perché non riesce a recuperare. Nella visita rileva inoltre una tonsillite e mi prescrive un antibiotico. Al termine della cura con antibiotico, dopo 15 giorni, Marco contrae la scarlattina e il medico mi comunica che è impossibile che l’antibiotico non abbia fatto effetto. Si allarma dicendomi che dobbiamo fare una puntura di penicillina.
Dopo 3 giorni al mio piccolo compaiono delle papule su volto braccia e gambe e si pensa subito alla varicella. Il dorso però è pulito così viene diagnosticata la sindrome di Giannotti-Crosti e Marco viene curato con pomate e antistaminici. A distanza di pochi giorni mio figlio viene ricoverato in ospedale per un improvviso gonfiore ad una mano e un avambraccio. Poco dopo arriva la diagnosi: immunodeficienza primitiva comune variabile. Fanno gli appositi esami anche a noi genitori e si rileva che io sono portatrice; non lo sapevo, mi sono sentita morire.In pochi mesi la mia vita è cambiata. Marco ha intrapreso la terapia di gammaglobuline sotto cute e la sua vita è cambiata: frequenta la scuola fa sport e fa la vita da bambino. Oggi ha 9 anni e non ha più contratto infezioni. L’immunodeficienza primitiva comune variabile sarà sempre con lui ma con le accortezze giuste e una vita sana potrà avere un futuro come tutti. Questo grazie alla ricerca. Grazie al gruppo Aip che mi ha ascoltato e sostenuto in tutti questi anni .
Cerchiamo di andare avanti pensando positivo! Sempre! M. sta finendo il secondo anno di asilo e quest’anno non ha mai perso un giorno… a parte i venerdì che andiamo a Brescia per ricaricarci di soldatini.Buongiorno, sono Elena, 35 anni, sposata e mamma di M., portatrice sana di agammaglobulinemiax-recessiva.
Nel 1997 tutti i componenti della mia famiglia hanno deciso di fare delle analisi a Brescia perché uno dei componenti risultava portatore di questa rara malattia genetica e nelle varie generazioni molti figli maschi sono deceduti in tenera età, compreso un mio fratello. Purtroppo 36 anni fa le immunodeficienze non venivano ancora riconosciute o solo per rari casi fortunati.Dalla risposta delle analisi io sono risultata portatrice sana come del resto mia mamma e mia zia.
Come potete immaginare a 16 anni venni un po’ presa dallo sconforto anche se in realtà non immaginavo bene cosa questo avrebbe comportato per il mio futuro… potevo basarmi soltanto sui pareri pressoché negativi da parte di cugini/e e zie.
Il 16 giugno 2007 ho sposato il mio storico fidanzato, Cristian, ed insieme abbiamo iniziato a pensare al futuro della nostra famiglia.
Entrambi abbiamo incontrato un noto medico di Brescia per un colloquio… mille domande e mille perché… molte parole ed opinioni ma in testa un’unica domanda: adesso che abbiamo più chiaro a cosa si potrebbe andare incontro in caso di nascita di un figlio cosa facciamo?????Per fortuna (e dico per fortuna!) abbiamo deciso di far crescere la nostra famiglia. Nel 2008 purtroppo abbiamo perso una bimba a 6 mesi e mezzo di gravidanza. Potete immaginare il nostro dolore.
Una bimba…poteva essere sana o portatrice sana ma sicuramente non sarebbe stata malata.
Dopo 4 anni è nato M. Con lui la gravidanza era andata abbastanza bene anche se la paura era sempre dentro di me…. ogni giorno pregavo d’aver dato l’x sano al mio bimbo, avevamo il 50% di possibilità che il maschio fosse sano e 50% malato…12/01/2012… giorno indimenticabile! È nato M. alle ore 23:32, 51 cm e 3,450 kg di gioia infinita!
A 15 giorni di vita abbiamo fatto il primo viaggio a Brescia per le analisi e dopo pochi giorni la telefonata… M. risultava malato.
A 25 giorni M. esegue la prima infusione di immunoglobuline… paura… tanta! Non sapevamo di preciso cosa ci si potesse aspettare dal futuro, se M. avesse reagito positivamente o meno ai farmaci… se…se…se…se…. tanti se.A Brescia abbiamo trovato degli angeli custodi, sempre pronti a darci conforto e a farci pensare positivo.
Abbiamo incontrato una dottoressa speciale… la nostra super dottora!
Tutte le infermiere sono eccezionali!Le mamme che abbiamo incontrato in questi anni sono delle rocce…. io ringrazio in particolare A., la prima mamma che ho incontrato che mi racconta sempre di suo figlio e di come vanno a loro le cose… ha 4 anni in più di M. e mi da moltissima fiducia.
Sono 4 anni e mezzo che facciamo le immunoglobuline in vena, M. cresce bene e finora accetta la malattia… i se ed i ma crescono con il crescere di M. ma cerchiamo di andare avanti pensando positivo! Sempre! Sta finendo il secondo anno di asilo e quest’anno non ha mai perso un giorno… a parte i venerdì che andiamo a Brescia per ricaricarci di soldatini.Faccio parte del gruppo locale di Brescia, cerco di divulgare informazioni e di parlare tanto di M. e della sua “malattia”. È importante perché le immunodeficienze si conoscono ancora troppo poco! Sono una persona positiva e sono sicura che la ricerca farà passi da gigante… con la malattia si può condividere e siamo fortunati perché abbiamo una cura sostitutiva.
Un abbraccio
Non dimenticherò mai un dottore di Torino, durante una lunghissima degenza, che mi disse: “cara tu sei una Ferrari con il motore della Panda”.
Ed è proprio così! Però questa Pandina ha un lavoro, uno splendido marito, una meravigliosa famiglia ed un bimbo di 16 mesi stupendamente bello.La storia di Valentina
Sono una ragazza a cui hanno diagnosticato la malattia un po’ tardi e questo ha causato non pochi disastri.
Non dimenticherò mai un dottore di Torino, durante una lunghissima degenza, che mi disse: “cara tu sei una Ferrari con il motore della Panda”.
Ed è proprio così!!!! Però questa Pandina ha un lavoro, uno splendido marito, una meravigliosa famiglia ed un bimbo di 16 mesi stupendamente bello.La mia esperienza, la mia strada è stata tutt’altro che semplice e se penso al futuro chissà… ma quello che vivo ora, seppur con tante difficoltà, è meglio di quanto potessi immaginare.
Il centro di riferimento è fondamentale, ho la fortuna di avere una dottoressa sempre presente.La malattia c’è, è vero, ma insieme a lei tantissime altre cose belle e importanti sono arrivate nella mia vita.
#ciaksivivebene perché abbiamo sviluppato una sensibilità rara, dono che non tutti possono vantare e soprattutto non siamo mai soli anche se a volte si pensa il contrario.
Avanti tutta!!!!
Nonostante la continua lotta, quando riesci ad ottenere anche una piccola vittoria questa diventa automaticamente una grande vittoria. Per questo credo che la realtà associativa sia una realtà importante in cui ognuno di noi con il proprio contributo possa portare qualcosa che aiuti a migliorare la condizione di tutti.La storia di Federica
– La diagnosiLa mia vita (e quella dei miei familiari) è stata influenzata, travolta sconvolta, dalla diagnosi di Immunodeficienza Comune Variabile all’età di 17 anni. Tutto è stato molto casuale, da un normale esame del sangue di controllo periodico si è visto che non avevo praticamente più piastrine, da lì i miei genitori non si sono arresi ed hanno continuato a insistere portandomi da diversi medici per cercare di capire da dove derivasse il problema.
Fortunatamente nel mio caso sono passati solamente 6 mesi tra il momento in cui ho scoperto di avere qualcosa che non andava e il momento in cui sono riusciti a dare un nome a questo qualcosa.
In questi 6 mesi oltre alla breve incertezza di non sapere cosa avessi ho comunque avuto anche a che fare con l’incompetenza e l’impreparazione totale del mio medico di base di fronte ad una “situazione complicata” come la mia; una struttura ospedaliera locale minore rispetto ai Grandi Centri di Riferimento anche questa totalmente immobile e impreparata a diagnosticare una Malattia Rara.
– La terapia
Una volta superato il momento della diagnosi si è subito prospettata un’altra sfida. Si ok quel qualcosa che non funzionava aveva un nome ma avrebbe comportato una terapia a vita, un’infusione di immunoglobuline ogni 3 settimane, e a 17 anni tutto ciò è ben difficile da accettare.
Piano piano con il tempo mi sono inserita in questa routine: il giorno dell’infusione, il dover stare a casa da scuola, mamma e papà che si bruciano i giorni di ferie per accompagnarti in day hospital quando questi giorni dovrebbero essere destinati a ben altro, il day hospital pediatrico dove a 17 anni vedi bimbi piccoli che stanno forse peggio di te, i medici che rivedi ogni tre settimane e se ti viene la tosse, il raffreddore o qualcosa che non va, devi assolutamente chiamarli, i follow up di controllo da programmare/fare (ecografie, tac, prelievi, esami di tutti i tipi, fisioterapia respiratoria, prove di funzionalità respiratoria, e tanto altro…).
Il rapporto con il medico diventa fondamentale, il fulcro della mia malattia, qualcosa di estremamente prezioso perché il medico sa cos’ho, cosa ciò comporta e cosa bisogna fare quando sto male.
– La crescita
Passano gli anni e aumentano le complicanze, l’Immunodeficienza Comune Variabile entra nel vivo. La terapia non è più solo l’infusione (di cui ormai sono diventata espertissima), inizia la fisioterapia respiratoria per i polmoni, inizia il dover stare attenti ad evitare i luoghi “pericolosi” per non contrarre infezioni, iniziano tante complicanze: dermatologiche, intestinali, polmonari dove la parola CRONICO diventa dominante.
Inizia l’avere una consapevolezza e conoscenza del proprio corpo diversa rispetto a quella delle persone sane, ad ogni minimo cambiamento me ne accorgo e lo devo descrivere, mi accorgo che questo per i medici è un riscontro importantissimo.
Inizia il dover interagire con molti/tanti specialisti ai quali dover spiegare tutto!– La transizione
Dal momento della diagnosi sono sempre stata seguita in pediatria poi capita che vado a fare l’ecografia all’addome e il medico mi dice “guarda che però faccio un po’ fatica, questo ecografo è per i bimbi!”.
Però io sono sempre stata seguita qui, nella mia testa non ci può essere un altro posto dove conoscono ciò che ho, soprattutto alla luce delle esperienze pregresse.
Poi un giorno mi dicono che stanno creando un “Reparto Adulti” dove ci saranno dei medici che potranno seguire gli adulti con le IDP. Così il 1/10/2009 mi sottopongo al primo day hospital presso il reparto adulti dopo 8 anni di pediatria, certo è diverso: mancano quelle piccole cose che nel reparto pediatrico ti davano sicurezza, ma provo ad affrontarlo in un’ottica di crescita e tutto assume un aspetto diverso. Pian piano mi abituo alle nuove piccole regole/abitudini del day hospital e dei nuovi medici.
– La sottocute
Come la vita di tutti anche gli aspetti legati alla patologia vanno un po’ a fasi, negli ultimi anni ho cambiato vita da quando mi sono sposata affrontando anche un cambio di città, la gestione della patologia in casa con mamma, papà e fratellino è ben diversa dalla gestione in una vita a due. E’ una bella sfida da affrontare.
Successivamente ho avuto anche due belle complicanze di cui una è stata una brutta infezione polmonare da cui non sono ancora uscita da circa 3 anni, ma vado avanti comunque con vari mix di farmaci e controlli.
Dato che abito a 80 km dal centro di riferimento, da inizio di quest’anno sono passata dalla terapia endovena alla terapia sottocute, al momento mi trovo molto bene ed è davvero un grande sollievo poter gestire io in prima persona la mia terapia!!
– Conclusioni
Oggi ho 32 anni, sono passati 15 anni dalla diagnosi ed ho imparato che bisogna lottare per ogni cosa:
– Bisogna lottare contro l’ignoranza delle persone: non perché siamo a prima vista “belli/carini d’aspetto” significa che siamo sani, né tanto meno dobbiamo sentirci in dovere di segnalare le nostre disabilità per giustificare alcuni nostri diritti.
– Bisogna lottare con le Asl locali per le forniture dei farmaci, degli ausili e dei presidi medici, Asl che vai usanza che trovi. La burocratizzazione è davvero alta, noi pazienti continuiamo a correre da una parte e dall’altra e nonostante ciò pochi sanno come comportarsi in caso di “patologie rare”, ciò è frustrante per noi pazienti e inaccettabile per il sistema sanitario.
– Bisogna lottare per un lavoro e per i diritti attinenti ai permessi di cura, mi riferisco all’invalidità civile, l. 104/92 per lo stato di handicap, l. 68/99 per il collocamento obbligatorio. Questo è a dir poco scandaloso, personalmente sono stata in commissione invalidità 6 volte. I medici delle commissioni non sono preparati sulle patologie rare, non sanno cosa comportano e spesso non vogliono nemmeno ascoltare né cercare di capire.Fin da quando ho avuto la diagnosi ho sempre fatto parte dell’associazione dei pazienti, aiutando come posso, al momento seguo e pubblico notizie sul gruppo Facebook.
Nonostante la continua lotta di cui parlavo sopra quando riesci ad ottenere anche una piccola vittoria questa diventa automaticamente una grande vittoria, l’hai sudata e sai che potrà essere utile ad altri nella tua condizione. Per questo credo che la realtà associativa sia una realtà importante in cui ognuno di noi con il proprio contributo possa portare qualcosa che aiuti a migliorare la condizione di tutti.
l futuro non so cosa ci riserverà, ma per il presente posso assicurare che i miei figli stanno facendo una vita normalissima fra scuola, sport, catechismo e amici. E le terapie e medicinali oramai fanno parte della nostra routine quotidiana.La storia di Marina
In questa storia purtroppo i pazienti sono i miei due bambini. Loro sono nati un po’ in anticipo ma essendo gemelli capitava molto spesso. Nonostante fossero un po’ prematuri sono cresciuti benissimo senza grandi problemi fino all’età di 3 anni, quando poi con l’ingresso alla scuola materna sono iniziati i primi malanni. Uno dei due in particolare, verso la fine dell’anno si beccò una brutta broncopolmonite. Da lì la mia pediatra, fortunatamente, iniziò a farmi fare delle analisi…Dopo qualche mese ci fu ancora una ricaduta e sempre la mia pediatra mi indirizzò agli ospedali civili di Brescia, dove una dottoressa molto competente e di gran cuore ci prese in carico. Qui iniziarono dei controlli più approfonditi per entrambi i bambini. Si scoprì che avevano un’immunodeficienza con iper igM e da allora abbiamo iniziato la terapia sostitutiva con grande successo. Infatti i bambini in tanti anni non hanno avuto grossi problemi e ad ogni malanno eravamo sempre prontamente curati da questa meravigliosa dottoressa.
Ora i bambini sono diventati ragazzi e abbiamo intrapreso da poco la terapia da eseguire al proprio domicilio. Devo dire che è un grosso vantaggio non dover recarsi ogni 3 settimane in ospedale. Spero che la mia testimonianza possa essere utile a qualcuno, per quanto riguarda noi ringrazio tutte le persone che abbiamo incontrato e incontreremo nel nostro cammino. Il futuro non so cosa ci riserverà, ma per il presente posso assicurare che i miei figli stanno facendo una vita normalissima fra scuola, sport, catechismo e amici. E le terapie e medicinali oramai fanno parte della nostra routine quotidiana.
La frase che mi viene spesso in mente è: “noi siamo un po’ più speciali degli altri”.La storia di giuseppe
Sono Giuseppe, ho 42 anni ed ho scoperto di essere affetto da immunodeficienza comune variabile a 10 anni. A seguito di continue bronchiti ed ematomi sono stato ricoverato in ospedale per 40 giorni perché non sapevano cosa avessi. Dopo tutti quei giorni trascorsi in ospedale, e immaginate cosa potesse significare per un bambino di 10 anni e sua madre restare 40 giorni in ospedale, ho ricevuto la diagnosi di immunodeficienza comune variabile.
Ho avuto tutte le conseguenze che questa malattia comporta: splenectomia, piastrinopenia ecc.
Per me l’ospedale era un vero incubo, un tunnel dal quale non si usciva mai e le mie domande ricorrenti erano: Quanto vivrò? Che vita farò quando finirà? Mi sposerò? Potrò avere dei figli?Adesso ho 42 anni e sono sposato con una splendida donna, ho due bellissime bimbe e andiamo avanti…Da sette anni faccio le sottocutanee e diciamo che l’ospedale lo vedo meno. Con la mia storia vorrei incoraggiare quei genitori che vivono le stesse ansie che hanno vissuto i miei genitori. Le nostre patologie non sono facili da sopportare perché sono piene di sorprese sia negative che positive. Dobbiamo stare attenti a tante cose ma sono convinto che far coincidere le due cose sia possibile, la frase che mi viene spesso in mente è: “noi siamo un po’ più speciali degli altri”.
La mia vita è cambiata, non ho più preso alcuna infezione, sto bene e sono sereno. Sono cosciente d’avere una malattia, ma seguendo i consigli di chi mi ha in cura, so che posso vivere una vita normale. E questa per me è la cosa più importante.La storia di Tiziano
Mi chiamo Tiziano, ho 42 anni e voglio raccontare la mia storia. Sin da bambino, e fino ai 25 anni, ho vissuto in maniera normalissima, ho praticato tanti sport, anche a livello agonistico, stavo bene per non dire benissimo, solo qualche influenza, ma nulla di più. Insomma fino a 30 anni, nessun problema particolare. Poi pian piano ho iniziato ad avere episodi febbrili sempre più frequenti, sono comparse verruche (che provvedevo a togliere e si riformavano), oltre ad Herpes frequenti…
Nel 2004 inizio a fare svariati esami del sangue e alcune visite specialistiche che evidenziano, tra l’altro, un ingrossamento della milza…
E qui commetto l’errore di non dare troppo peso a questi responsi… continuo a vivere nello stesso modo, passano altri 6 anni e vengo colpito da una fortissima polmonite… Inizio ad avere più di un dubbio sullo stato della mia salute, altri esami del sangue e altre visite… ma non emerge nulla di particolare. Poi nel 2015, le infezioni si fanno frequenti (un piccolo focolaio ai polmoni, il Fuoco di Sant’Antonio, un’otite, e poi febbre, febbre frequente)… Al dubbio che avevo, si affianca la paura di avere qualcosa di brutto… Ad ottobre contatto il centro di Immunologia di Milano, e dopo aver mostrato tutti gli esami dell’ultimo decennio, la Dottoressa non ha dubbi: sono affetto da Immunodeficienza comune variabile primitiva, una malattia rara.Lo sgomento è totale, non mi sembra possibile di essere malato, per lo più di essere affetto da una malattia rara. La dottoressa mi tranquillizza, esiste la cura, e così inizio a recarmi a Milano una volta a settimana e con le infusioni in vena, in pochi mesi noto un grande miglioramento. Adesso faccio la cura direttamente a casa, con infusioni sotto cute, una volta a settimana. La mia vita è cambiata, non ho più preso alcuna infezione, sto bene e sono sereno. Sono cosciente d’avere una malattia, ma seguendo i consigli di chi mi ha in cura, so che posso vivere una vita normale. E questa per me è la cosa più importante.
Ringrazio chi ha pensato di dar voce anche alle persone affette da Immunodeficienze Primitive, questo è senza dubbio un modo per condividere le nostre esperienze, creare un punto d’incontro e non sentirsi più soli.La storia di Fiammetta
Tutto è cominciato nella primavera del 1992, all’epoca non avevo ancora 12 anni.
Fino ad allora non ci fu nessun particolare sintomo che potesse far presagire quanto poi sarebbe accaduto. O forse il mio sistema immunitario lo dette qualche segno di “cedimento” nell’inverno precedente, dal quale, se non ricordo male, fui reduce di un paio di bronchiti. Venni comunque sottoposta alla vaccinazione contro HBV, che proprio in quell’anno diventava obbligatoria. Dopo circa una settimana dal primo richiamo cominciai a non sentirmi bene: dapprima una leggera febbricola, poi pallore e stanchezza sempre più allarmanti. Il mio medico di base allora pensò potesse trattarsi di: carenza di ferro, cambio di stagione o più probabilmente dello sviluppo…Mio padre decise a quel punto di portarmi dal suo vecchio medico di famiglia, di quando era ragazzo, il quale gli consigliò di portarmi immediatamente in pronto soccorso.
Da lì ebbe inizio il calvario. Devo dire che tale non fu tanto per il ritardo nella diagnosi, anzi quella arrivò pressoché immediatamente ossia anemia emolitica autoimmune combinata ad immunodeficienza comune variabile. Il vero calvario fu piuttosto l’accettazione della diagnosi. Già perché per una bambina di neanche 12 anni scoprire di avere una malattia rara, per la quale dovrà sottoporsi ad infusione di immunoglobuline una volta ogni tre settimane per il resto della sua vita e che dovrà altresì prendere cortisone ogni qual volta una manifestazione autoimmune dovesse comparire, non è per nulla semplice da digerire.Il calvario, col senno di poi, quindi è stato la mancanza di un supporto psicologico.
Come molte delle persone affette da questa patologia sanno, la nostra è una malattia interdisciplinare, che necessita del contributo di Clinici Specialisti provenienti da aree anche (apparentemente) distanti dall’ematologia e dall’immunologia. Ebbene credo che nel team di specialisti dovrebbe figurare anche uno psicologo, perché molto si è fatto (e ancora di più c’è e ci sarà da fare a livello di ricerca scientifica e clinica) nella cura di questa malattia (oggigiorno non si utilizzano quasi più le infusioni endovena, siamo passati alle sottocute, che ci garantiscono un’uguale se non migliore copertura dalle infezioni, una maggiore indipendenza dagli Ospedali e di conseguenza una migliore qualità della vita) ma quello che personalmente mi ha segnata sono le difficoltà riscontrate dapprima a scuola, nell’inserimento del mondo del lavoro poi.Credo che molto si possa e debba ancora fare prima di poter dire veramente #ciaksivivebene.
Perdonate il tono forse un po’ troppo duro, ma dopo 25 anni di malattia tra alti, bassi e bassissimi, non riesco ad essere così entusiasta quanto chi mi ha preceduta, forse proprio perché quella bambina di neanche 12 anni ancora non è riuscita ad accettarsi.
Ringrazio però chi ha pensato di dar voce anche alle persone affette da Immunodeficienze Primitive, questo è senza dubbio un modo per condividere le nostre esperienze, creare un punto d’incontro e non sentirsi più soli.
Con tre mesi di infusioni di ig in vena le infezioni e la febbre ricorrente se ne sono andate e subito dopo sono passata alla sottocute.La storia di Valentina
Ciao,
ho scoperto di essere affetta da immunodeficienza comune variabile cinque anni fa.Prima di capire cosa avessi mi ammalavo ogni due settimane: le prime due lavoravo, anche con 38 di febbre, e le altre due mi curavo con gli antibiotici, mi riprendevo e iniziavo daccapo. Il medico di base non capiva, ma dopo la seconda polmonite nel giro di tre mesi lo pneumologo ha capito di dover approfondire la cosa e mi ha fatto fare un semplice esame: il dosaggio delle igg iga igm. Risultato? Nessuna difesa immunitaria…e quando è il medico di base a chiamarti a casa per dirti che non devi assolutamente uscire e vedere gente perché potresti ammalarti gravemente non è per niente bello!
Fortunatamente con tre mesi di infusioni di ig in vena le infezioni e la febbre ricorrente se ne sono andate e subito dopo sono passata alle sottocute.
Adesso vivo una vita più che buona, esco, viaggio, faccio vita sociale e sono di nuovo felice.
Essere ottimista e riuscire a riconoscere i miei limiti è la seconda terapia che ho imparato a fare negli anni. La diagnosi se fatta in tempo e la terapia se fatta costantemente aiuta ad avere una vita normale.La storia di Andrea
Non mi piace molto parlare del mio problema ma leggendo le testimonianze di altri pure io mi sono convinto che magari con la mia testimonianza posso aiutare qualcuno.
Mi chiamo Andrea e ho 30 anni. L’immunodeficienza che mi è stata diagnosticata è la comune variabile.
Tutto è iniziato nel 2007 all’età di 21 anni quando ho deciso di andare dal gastroenterologo per continue scariche di diarrea. Inizialmente la colpa del problema era ricaduta alla sindrome del colon irritabile ma nessuna cura che mi veniva data mi faceva stare meglio.Dopo aver fatto le analisi del sangue per la celiachia, il gastroenterologo vide che i valori delle Iga erano bassi e per questo mi prescrisse anche tutti gli altri (igg e igm). Da lì la scoperta che pure tutti gli altri valori erano bassi così dopo il consulto con reparto di immunologia mi fu diagnostica la CVID. Alcuni mesi dopo iniziai la terapia endovenosa con le immunoglobuline le quali mi hanno fatto stare meglio fisicamente ma non nascondo che il mio morale era a terra. Trovarsi a 21 anni ad accettare una malattia rara ammetto che non sia stato facile. Sorgono mille domande, dubbi, timori che fino a pochi anni prima nemmeno avrei pensato di farmi e in più il dover accettare di andare all’ospedale ogni 20 giorni mi faceva sentire ammalato, cosa che tuttora detesto.
Tutto è cambiato quando un anno dopo ho iniziato a fare la sottocute; i problemi intestinali piano piano sono quasi spariti, ho iniziato ad ammalarmi molto meno e i valori sono saliti e si sono stabilizzati. Inoltre il non dover frequentare troppo spesso l’ospedale unito al non pensare troppo spesso alla malattia mi ha aiutato ad accettarla.
Da quando ho iniziato la terapia sottocute posso dire di essere quasi “guarito”. Conduco una vita normalissima e faccio cose che fino a pochi anni fa non avrei mai pensato di riuscire a fare.
Da quando sto meglio ho iniziato a viaggiare molto spesso per lavoro riuscendo a stare fuori casa anche per molte settimane. In quei casi porto con me tutto l’occorrente che serve per fare le infusioni di immunoglobuline sottocute. Sembrerà poco ma per me essere riuscito a fare questo è stata una grande vittoria morale.
Essere ottimista e riuscire a riconoscere i miei limiti è la seconda terapia che ho imparato a fare negli anni. La diagnosi se fatta in tempo e la terapia se fatta costantemente aiuta ad avere una vita normale.
Una grande parte l’ha fatta poi l’Aip Onlus che mi è stata di grande supporto per comprendere di più nell’universo delle malattie rare legate al sistema immunitario e per come affrontare il mio cammino con le immunoglobuline! Grazie di vero cuore! Sapere di essere rari ma non soli aiuta ad affrontare meglio questa avventura!La storia di Anna
La mia malattia è iniziata molto tempo prima di arrivare ad una corretta diagnosi, scoperta poi solo 4 anni fa! Ho vissuto per diversi anni come una malata cronica… ho avuto di tutto, ma ciò che mi ha accompagnato in questi anni sono state continue bronchiti, sfociate poi in una broncopolmonite basale bilaterale e un’alopecia areata che ha minato tante volte la mia pazienza, tanto da pensare di dover dire addio ai miei capelli! Ero diventata lo zimbello della mia cerchia amicale…”vai a Lourdes a farti benedire “mi dicevano… e io intanto stavo male tanto da non poter avere più una continuità regolare neanche sul lavoro!Ho fatto visite con diversi specialisti, anche per via di altri disturbi che poi ho scoperto essere una conseguenza di questa malattia! Finalmente, illuminata da qualcuno lassù, mi recai a fare una visita immunologica, e dopo diversi esami arrivammo alla diagnosi: immunodeficienza comune variabile! Non fu semplice pensare di dover dipendere da un ospedale e dalle immunoglobuline…ma il passaggio dalle flebo endovena alla sottocute è stata una salvezza!
Piano piano ho ripreso il mio normale ritmo di vita e posso dire che ho ricominciato a vivere, sebbene la diagnosi tardiva della mia immunodeficienza non mi permette di dire addio ad alcuni disturbi ormai diventati una parte di me! Ringrazio comunque il mio immunologo e quei pochi medici che in questo percorso avevano intuito che alla base dei miei problemi ci fosse un crack legato ad un’immunodeficienza!
Una grande parte l’ha fatta poi l’Aip Onlus che mi è stata di grande supporto per comprendere di più nell’universo delle malattie rare legate al sistema immunitario e per come affrontare il mio cammino con le immunoglobuline!
Grazie di vero cuore! Sapere di essere rari ma non soli aiuta ad affrontare meglio questa avventura!
Dopo circa quindici anni seguendo alla lettera i consigli dei medici. Mi definisco in buona salute, posso da anni permettermi di praticare sport, avere un lavoro e frequentare luoghi affollati e portandomi appresso il necessario posso permettermi anche dei viaggi impegnativi.La storia di Clorinda
Ciao a tutti…sono Clorinda e ho 52 anni!
La mia storia non è un granché ma vorrei raccontarla perché ad un certo punto della mia vita, quando mi sono trovata fisicamente a terra, ho trovato per puro caso degli “angeli”.
Ricordo che fin dall’età scolastica facevo molte assenze per infezioni alle orecchie e bronchiti. Gli anni passavano e l’interesse per lo sport aumentava dentro di me sempre più, ma con difficoltà potevo praticarlo perché al minimo sbalzo di temperatura o sudata mi trovavo distesa…allora avanti sempre con un buona dose di “iniezioni di penicillina”, come le chiamavano, che mi rimettevano in piedi.Finiti gli studi, trovai un buon lavoro, ma ahimè i giorni di malattia erano molti. Tentavo di ridurli al minimo resistendo e lavorando con febbre alta fino a che non diagnosticavano focolai. Allora il medico di base era costretto a “credermi”, sì proprio così, perché era arrivato al punto di dubitare dei miei disturbi.
Dopo 3 anni dalla prima gravidanza ebbi difficoltà ad uscire da una broncopolmonite e decisi di continuare a curarmi privatamente. Dopo 15 anni di girovagare da un medico all’altro e testando ogni sorta di antibiotico, decisi di cambiare medico di base e incontrai un giovane medico che lanciando la penna contro un muro mi disse: non è normale…5 broncopolmoniti in nove mesi!!!! Fu così che mi fissò un appuntamento in ospedale a Padova e in 5 minuti il verdetto. Due giorni dopo avrei dovuto iniziare la terapia. La mia domanda fu: quanto dura? Il medico rispose: IDCV a vita!!
Non mi rendevo conto che il fatto era che non mi importava più di niente… avrei voluto almeno lavorare senza avere il dito puntato.Iniziata la terapia in vena con immunoglobuline e dopo qualche anno sono passata alle sottocute. Da subito sono migliorata per arrivare ad oggi dopo circa quindici anni seguendo alla lettera i consigli dei medici. Mi definisco in buona salute, posso da anni permettermi di praticare sport, avere un lavoro e frequentare luoghi affollati… avessi trovato prima quegli “angeli” non sarei stata segnata dalle varie infezioni per le quali sono costretta a ripetuti controlli. Ma la mia felicità è comunque grande perché portandomi appresso il necessario posso permettermi anche dei viaggi impegnativi.
Un grazie sempre grande per il lavoro che svolgono gli immunologi, infermieri e psicologi.
Dopo 9 anni e mezzo di visite ospedaliere ogni 3-4 settimane con circa 5 ore di flebo ogni volta, da oggi diventiamo meno “malati”. Infatti siamo passati dalle infusioni di gammaglobuline in vena alla somministrazione con punture sottocutanee da farsi una volta alla settimana a casa nostra, leggendo, facendo i compiti, mangiando, insomma in piena libertà. Per noi è una cosa stupenda e per questo volevamo farlo sapere anche a voiLa storia di Silvia
Ciao sono la mamma di D. che oggi ha 15 anni.
Voglio condividere con voi la mia testimonianza di quando, dopo che D. a 10 anni aveva iniziato la terapia sottocutanea, inviammo una mail a tutti gli amici. Vorrei inoltre condividere uno scritto che D. preparò come ringraziamento per gli anni in ospedale. Questo perché quei vecchi scritti fotografano molto bene gran parte della nostra vita con le immunodeficienze.Oggi D. è un ragazzo sano, super sportivo, dato che da 2 anni fa pallanuoto agonistica. Ha costanza coi lavaggi nasali, oggi molto comodi anche in viaggio grazie a un nuovo presidio che si trova in farmacia con una bottiglietta e sali da sciogliere nella stessa. Possiamo dire che, a parte i ponfotti che gli si formano con le sottocute, ha una vita decisamente “normale”.
A maggio 2011, quando D. aveva 10 anni, abbiamo mandato questa mail a tutti i nostri amici . “Con questa mail volevo solo rendervi partecipi, per una volta, di una bella novità che riguarda D. e, quindi, tutti noi. Dopo 9 anni e mezzo di visite ospedaliere ogni 3-4 settimane con circa 5 ore di flebo ogni volta, da oggi diventiamo meno “malati”. Infatti siamo passati dalle infusioni di gammaglobuline in vena alla somministrazione con punture sottocutanee da farsi una volta alla settimana a casa nostra, leggendo, facendo i compiti, mangiando, insomma in piena libertà. Per noi è una cosa stupenda e per questo volevamo farlo sapere anche a voi”.
Tengo a sottolineare che la gioia di quel momento era genuina, ma, assieme a tale gioia, abbiamo avuto per un bel po’ un grande magone perché non potevamo più incontrare ogni mese le dottoresse, le infermiere e le assistenti che per 10 anni erano state importantissime figure a cui noi adulti e, ancor più D., ci eravamo affezionati.
Un paio di anni fa D. ha scritto questa lettera:
“Tic, tac, tic, tac, tic tac… il tempo passa, ma per 4/6 ore c’è sempre il noiosissimo “vrrrrr” delle macchinette. Già solo 3 ore passate così sarebbero state lunghissime, quasi da “suicidio”. Allora come mai, visto che ormai ho fatto la cura per 10 anni, sono ancora vivo????
Forse perché c’erano delle belle persone, che spezzavano la noia con semplici “ciao”, o “come stai?”, oppure con la mitica frase “vuoi dei giochi???” o “ci sarebbe da fare un lavoretto, mi dai una mano?” e, quando ero più grande e avevo già lavorato un po’, c’era anche il lettore DVD per vedere qualche bel cartone o film.
Come dicevo, devo un grande “GRAZIE” alle gentilissime infermiere, alle mie dottoresse, e uno particolare ad una cara persona che c’era sempre e che ora sta per andare in pensione.
Grazie di cuore .
D. piccolo paziente ormai cresciuto”.
La malattia è una sorta di coinquilina, col tempo si impara ad instaurare un rapporto di convivenza, fatto di litigi, perché si è obbligati a vivere con lei e non ci si può arrendere e scappare di casa (e lei sicuramente non scapperà in fretta!), ma fatto anche di gioie.La storia di Caterina
Ciao a tutti, mi chiamo Caterina, ho 20 anni e frequento il secondo anno di università.
L’immunodeficienza comune variabile mi è stata diagnosticata “relativamente presto” all’età di 11 anni. Dalla prima infanzia, però, i sintomi si sono sempre manifestati: sinusiti e otiti si alternavano dai primi anni dell’asilo e venivano puntualmente curati con antibiotici. La situazione è rimasta stazionaria fino agli 8 anni, quando vengo ricoverata in ospedale per una cellulite orbitaria: e anche questa volta, l’infezione era recidiva e per due settimane mi venne dato l’antibiotico per via endovenosa. Conservo un ricordo di quel periodo che mi è rimasto stampato in testa: 8, 16, 24, sono le ore in cui bussava alla porta quel maledetto antibiotico, e poi la sveglia alla mattina, occhi chiusi per una buona mezz’ora essendo l’infezione così forte da non riuscire ad aprire gli occhi!In seguito a questo episodio eclatante, le immunologhe dell’ospedale suggerirono ai miei genitori di ripetere specifici esami del sangue. Sfortunatamente, a causa dei suggerimenti di altri medici specialisti, gli esami vennero rimandati. Come potete immaginare, la storia si ripropose, e per tre anni mi ritrovavo di nuovo in studi di medici diversi che sbandieravano esiti positivi alle intolleranze più disparate. E, ad ogni sinusite od otite che fosse, un antibiotico rimediava ancora temporaneamente all’infezione.
All’età di 11 anni, però, la situazione prende una svolta, finalmente vengo affidata a medici immunologi che mi recuperano per il rotto della cuffia da un forte deficit immunitario. Ricordo benissimo la strigliata della professoressa a mia mamma (che giustamente non si capacitava di come altri medici non ci avessero indirizzato prontamente da esperti immunologi) e lo sgomento che ho provato davanti ad una simile situazione: come è possibile che qualcuno possa riprendere mia mamma? Ma soprattutto, perché uscite da quella stanza la ritrovo finalmente felice?
Una settimana dopo ero di nuovo in ospedale ma questa volta per cominciare una terapia adatta al mio caso; andavo a trovare una risposta, quella esatta e definitiva a tutte le mille domande che i miei genitori si sono fatti per 11 anni.
Con gli anni ho acquisito maggior consapevolezza della mia malattia, poiché da bambina mi risultava difficile comprendere la situazione, prendendo ogni infezione che si presentava come un motivo in più di coccole ricevute da mamma e papà; loro che della mia malattia hanno sempre fatto parte, sobbarcandosi macigni che immagino molti genitori conosceranno bene. Mi ritengo molto fortunata, infatti, se penso di non avere, in fondo, brutti e pesanti ricordi di quegli anni, ed è stato sicuramente il regalo più bello che potessero farmi.Crescendo, poi, i dubbi e le domande aumentano. Ci sono volte in cui sembra di conoscere tutto sulla malattia, altre in cui ci si sente limitati e privi del potere di cambiare lo stato delle cose: un po’ come quando parlo per la prima volta a qualcuno della malattia, rido tra me e me perché so già qual è la reazione (“beh ma adesso tu stai bene, no?”). Sì, perché basta apparire “sani e belli” e il problema diventa secondario (“..abbiamo tutti poche difese immunitarie..”) e basterebbe avere un altro tipo di malattia ben più nota alla gente per sentirsi capiti, rincuorati, e qualche volta anche giustificati.
Concludo con un pensiero che mi ripeto spesso, ovvero che la malattia è una sorta di coinquilina, infatti col tempo si impara ad instaurare un rapporto di convivenza, fatto di litigi, perché si è obbligati a vivere con lei e non ci si può arrendere e scappare di casa (e lei sicuramente non scapperà in fretta!), ma fatto anche di gioie. Quando penso a tutto quello che riesco a portare a termine nella mia vita (esperienze all’estero, fine degli studi, ecc.), so di farlo con una marcia in più, che nessuno ha e che mi rende bella, speciale, unica, ma soprattutto rara!!
Dopo gli 11 anni gli episodi di malattia sono leggermente diminuiti fino ad arrivare alla scoperta che ero io la portatrice. Tutt’ora continua a fare le infusioni una volta al mese ma sta decisamente meglioLa storia di Giusy
Buongiorno, sono la mamma di un ragazzo di 29 anni affetto da ipogammaglobulinemia con iper igm. Il nostro calvario è iniziato quando aveva 9 mesi e dopo tanti esami in cui è stata diagnosticata la malattia, all’età di 3 anni ha iniziato a fare le gammaglobuline. Fino agli 11 anni non c’è stato mese in cui non facesse antibiotici anche più volte nello stesso mese. Abbiamo fatto tanti ricoveri per febbre alta e mal di gola, neutropenia e punture quando neanche gli antibiotici facevano effetto.Mio figlio non si è mai lamentato e ha sempre accettato tutto serenamente. Dopo gli 11 anni gli episodi di malattia sono leggermente diminuiti fino ad arrivare alla scoperta che ero io la portatrice. Tutt’ora continua a fare le infusioni una volta al mese ma sta decisamente meglio, anche se anni fa gli hanno diagnosticato un’altra malattia rara: la epidermodisplasia verruciforme. Sicuramente è dovuta al deficit del suo sistema immunitario. Abbiamo provato a fare tante cure ma senza risultato.
Comunque, sia a Brescia che a Torino abbiamo dei medici molto competenti. Speriamo che il futuro ci riservi la bella sorpresa di poterlo guarire definitivamente con la terapia genica. Auguri a tutte quelle persone che vivono, ognuno a modo suo, queste malattie.
La diagnosi precoce è fondamentale. E importantissimo è anche parlarne e non tenersi tutto dentro perché il senso di colpa taciuto e mai manifestato logora dentro!
Se adesso sono mamma di un meraviglioso bimbo di due anni che è la mia gioia di vivere devo ringraziare i medici che mi hanno sempre seguita nella gravidanza e nelle terapie!
La storia di Stefania
Sono Stefania, ho 35 anni e ho pensato di scrivere la mia storia anche per sollevarmi un po’ da un peso che mi porto dietro.
La mia famiglia è entrata a far parte di questo mondo delle immunodeficienze 30 anni fa quando a mia sorella di appena 1 anno viene diagnosticata una piastrinopenia e anemia emolitica autoimmune. Seguono perciò anni duri di visite, terapie endovena, ricadute e lunghi ricoveri ospedalieri.
Tra alti e bassi, perché anche il più banale raffreddore poteva mandare in tilt il suo sistema immunitario e molte volte i medici l’hanno “presa appena in tempo”, arriviamo al 2002 quando io che avevo 20 anni ho contratto un’otite acute che non passava mai.
Così fatti gli esami del sangue il medico che già seguiva mia sorella è arrivato velocemente alla diagnosi di immunodeficienza comune variabile.
Un altro grosso macigno sul capo dei miei genitori già profondamente “consumati” dalla seria malattia di mia sorella …
Adesso conduciamo una vita abbastanza normale con qualche precauzione in più, facendo le nostre infusioni di immunoglobuline anche se siamo sempre all’erta.
Volevo dire che innanzitutto la diagnosi precoce è fondamentale e importantissimo è anche parlarne e non tenersi tutto dentro perché il senso di colpa taciuto e mai manifestato logora dentro!
Se adesso sono mamma di un meraviglioso bimbo di due anni che è la mia gioia di vivere devo ringraziare i medici che mi hanno sempre seguita nella gravidanza e nelle terapie!
i riservi la bella sorpresa di poterlo guarire definitivamente con la terapia genica. Auguri a tutte quelle persone che vivono, ognuno a modo suo, queste malattie.
#CIAKSIVIVEBENE
VI DÀ APPUNTAMENTO AL PROSSIMO ANNO
Si chiude la prima edizione della campagna social #ciaksivivebene.
Grazie a tutti coloro che hanno scelto di condividere la propria storia e di contribuire a fare awareness sulle Immunodeficienze Primitive.
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